La conoscenza geografica (Geoknowledge) è sempre stata una conoscenza fondamentale per l’uomo, poiché tutti i processi naturali e sociali hanno luogo sul territorio, cioè nello spazio dove l’uomo vive. L’uomo ha vissuto da sempre spazi materiali – l’ambiente fisico – e spazi virtuali – la rappresentazione.
Nelle varie epoche il modello di realtà per la rappresentazione della conoscenza geografica è determinata dalla cultura della società.
L’aborigeno australiano dà significato e ordine al suo spazio materiale e ne tramanda la conoscenza con il canto – le Vie dei Canti – perpetuando così il sogno e la cultura dei propri antenati.
I romani rappresentarono la conoscenza del territorio riferita alla rete stradale che permetteva di spostarsi all’interno dell’Impero: “tutte le strade portano a Roma”. Quelle che a loro interessava era il valore strategico delle vie di comunicazione.
I mappamondi medievali rispondevano all’esigenza di dare forma allo spazio simbolico cristiano che dominava l’epoca medievale in Occidente.
Solo nel Settecento, la logica cartografica riconosce il criterio geometrico come unico possibile e si avvia alla carta “scientifica” che virtualizza lo spazio materiale attraverso il segno geometrico.
Quel modello di realtà è arrivato fino all’epoca moderna nelle carte geografiche e anche nella cartografia numerica dove nonostante il passaggio da carta a computer, l’intelligenza dell’informazione restava identica.
Oggi, si assiste al ritorno ad una metafora geografica olistica realizzata dal WebGIS.
Lo sviluppo del GIS (Geographic Information System) è stato favorito dalla convergenza della ICT (Information & Communication Technology) con la AST (Applied Space Technology).
L’AST ha consentito la realizzazione di satelliti per l’osservazione della TERRA (e.g. LANDSAT, ENVISAT, COSMO-SKYMED, COPERNICUS) e per la radiolocalizzazione (e.g. GPS, GLONASS, GALILEO). La ICT ha consentito la realizzazione di piattaforme avanzate WebGIS (e.g. ArcGIS della Esri).
Nella fase iniziale il GIS veniva principalmente utilizzato per l’automazione dei contenuti con metodi numerici semplici: di misure d’area, di statistica dei dati e di generazione di mappe.
Con il progredire della tecnologia il GIS ha incorporato molti concetti dell’analisi spaziale e della modellizzazione dei processi naturali ed antropici che hanno consentito applicazioni capaci di creare nuova conoscenza.
Questo nuovo modo di “fare conoscenza” è abilitato dallo sviluppo della Net Technology dove la Rete è strumento di integrazione di risorse e competenze, capace di generare moltiplicazione cognitiva.
Il GIS fornisce un quadro di riferimento per portare il pensiero geografico in ogni aspetto della fruizione del territorio in ottica di governo, di business e di formazione, divenendo la lingua di scambio della conoscenza geografica nella nostra epoca post moderna.
Il GIS integra informazioni, discipline, procedure, organizzazioni; è un aiuto potente per la presa di decisioni e per la costruzione di modelli di conoscenza del territorio e dell’ambiente.
Così, il GIS abilita un nuovo modello di creazione e fruizione della conoscenza basato sulla condivisione ed il riuso, secondo i paradigmi della Società della Conoscenza.
Il GIS è oggi utilizzato in tutte le scienze dove la georeferenziazione ha assunto importanza significativa per le modellizzazioni disciplinari.
In questo modo la tecnologia GIS ha diffuso i principi geografici ben oltre i confini della cultura della geografia classica, creando una nuova disciplina che possiamo chiamare Scienza del Dove.
“GIS is especially well designed and suited for imagining our future. Actually, I think it’s essential. Empowering geography with a language – GIS – will help us create a better future. GIS is becoming intelligent and collaborative. Connecting GIS into the societal infrastructure of the Web will lead to widespread collaboration, will bring about a better understanding, and will allow us to create a better future. GIS professionals will be the people who apply this language, creating a better future. That’s how I see it.”
(Jack Dangermond, 2004)